Primavera 1657, porto di Belém, Portogallo. Una Caracca dispiega le vele e guadagna rapidamente il largo. Rotta sud, sud-est. Destinazione Oriente. Sul registro dei passeggeri del bastimento figurano i nomi di diciassette missionari gesuiti di diverse nazionalità: belgi, tedeschi, portoghesi e italiani. Tra di essi anche un giovane prelato siciliano, Prospero Intorcetta. La sua meta è la Cina. Con alterne vicende vi rimarrà per quasi quaranta anni. Oggetto della sua roccambolesca missione evangelica sarà quello di tracciare un ponte tra Oriente ed Occidente. Dopo quattordici anni il gesuita armerino ripercorrerà la stessa rotta in senso opposto. Nel suo modesto bagaglio custodiva un fragile e prezioso volume da lui scritto. Era la prima traduzione in latino di Confucio operata da un occidentale.

Prospero Intorcetta era nato a Piazza Armerina nel 1625. A sedici anni fu inviato presso il Collegio dei gesuiti di Catania ove operava lo zio, Francesco Intorcetta, teologo di fama. Passò successivamente al Collegio di Messina per conseguire l’ordinamento sacerdotale. Dopo una breve parentesi a Palermo, decise di recarsi in Cina come missionario. Il lungo viaggio cominciato a Lisbona dai seguaci di Sant’Ignazio di Loyola si concluse a Goa, principale approdo dell’impero coloniale portoghese. La delegazione dei gesuiti europei si spostò nel 1658 a Macao. Intorcetta fece il suo ingresso nel territorio dell’Impero Cinese il XVIemo anno del regno di Chun-Tchi (1659).
Fu destinato alla missione di Jianchang (l’odierna Nachang) presso la regione dello Jiangxi. Gli affidarono l’incarico della comunità cristiana di Kien-Tsaian ove edificò una chiesa grazie alla benevolenza dell’imperatore Xun-Chi. Nel settembre del 1665, l’imperatore Kanxi ordinò l’arresto dei missionari gesuiti. Intorcetta fu accusato di aver capeggiato una banda di cinquecento sediziosi. L’edificio sacro da lui innalzato fu distrutto. Il gesuita siciliano fu arrestato e tradotto nel carcere di Pechino.

Condannato alla battitura e all’esilio in Tartarìa ottenne la commutazione della pena in detenzione. Nel 1666 con altri ventiquattro correligiosi fu trasferito nel carcere di Canton. Intorcetta riuscì ad evadere con uno stratagemma. Si fece sostituire da un altro prelato, giunto appositamente da Macao per prendere il suo posto. Riuscì a racimolare una provvigione di venti scudi d’oro che gli consentirono di raggiungere Goa e imbarcarsi alla volta dell’Europa. Era il 21 gennaio del 1669. Facendo scalo a Lisbona e Genova giunse a Roma nei primi mesi del 1671. Presso la Curia romana, al cospetto del Papa, relazionò il suo Compendiosa narrazione dello stato della Missione in Cina. Chiusa la parentesi romana, il gesuita siciliano raggiunse Palermo nello stesso anno. Per l’occasione i suoi confratelli fecero eseguire un dipinto che lo ritrae nelle sembianze di un saggio cinese. Intorcetta aveva da poco compiuto 46 anni. Lo sguardo fiero e deciso è incorniciato da una folta barba e lunghi capelli sormontati da un copricapo all’uso dei letterati cinesi. La tela è affollata da numerose figurazioni simboliche. Il missionario cinge nella mano destra un ventaglio con incisi ideogrammi cinesi. Nei lati superiori del quadro figurano un astro e la prua di una nave. Ai lati del gesuita due figure femminili a simboleggiare i due continenti.

Il ritratto dopo la soppressione della Compagnia di Gesù operata in Sicilia nel 1769, fu acquisito dalla Biblioteca comunale di Palermo nella cui quadreria è attualmente custodito. Nel 1885, il pittore Luigi Pizzillo, ne eseguì una copia per la sala del consiglio comunale di Piazza Armerina. Nel corso del suo soggiorno isolano, Intorcetta consegnò ai suoi confratelli siciliani una copia del suo libro Sinarum Scientia Politico Moralis, come attesta la nota manoscritta apposta sul frontespizio: Bibliothecae Domus Professae Panorm Societatis Jesu. Una copia del libro è attualmente custodita presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” di Palermo. Il libro è stato recentemente esposto presso il National Museum di Pechino nel corso della mostra Continente Sicilia, 5000 anni di storia. Dopo trecento anni a fare da ambasciatore della cultura europea in Cina è stata ancora l’opera del gesuita siciliano, Prospero Intorcetta. Il tomo si compone di trentadue pagine e reca la traduzione in latino del testo confuciano posto a fronte in caratteri cinesi. Per l’occasione i curatori della mostra hanno riprodotto una serie di copie facsimilari dell’originale che saranno consegnate alle autorità cinesi. La fedele ristampa ed il recupero del volume sono stati curati dal laboratorio di restauro diretto da Ignazio Lodato che opera all’interno della stessa Biblioteca centrale della regione siciliana diretta da Gaetano Gullo. Le copie facsmilari sono state poi rilegate a mano con una copertina in pergamena del tutto simile all’originale. Il libro costituisce una pietra miliare del processo di integrazione tra l’Europa e il Celeste Impero. Un’opera straordinaria che testimonia il grande interesse dei primi missionari gesuiti che trovarono negli insegnamenti confuciani assonanze con la parola del Vangelo.

Si ha notizia di soli altri otto esemplari in tutto il mondo custoditi a Roma alla Biblioteca Vaticana; alla Biblioteca nazionale centrale e Archivio storico dei Gesuiti; alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna; alla Bibliothèque National di Parigi; alla Biblioteca della School of Oriental and African studies di Londra; a Madrid alla Real Accademia de la Historia; alla Universitätbibliothek di Heidelberg; a Monaco alla Bayerische Staatsbibliothek. Il volume fu stampato in due sessioni. La prima fase di realizzazione del testo fu eseguita a Canton nel 1667. Le pagine del libro furono riprodotte con la tecnica della xilografia. I caratteri incisi su tavolette di legno venivano impressi su fogli di carta di fibra di gelso. La stampa “orientale” riguardava solo un fronte del foglio che veniva poi piegato a “soffietto” al centro, lungo la linea della collazione, chiudendo al suo interno il dorso bianco. La seconda parte del libro fu stampata a Goa, in India, nel 1669 utilizzando caratteri mobili riprodotti su entrambi i lati dei fogli di carta occidentale, quasi che la stessa fase di stampa volesse integrare le due culture occidentali e orientali. Il testo cinese è disposto su colonne verticali che si leggono dall’alto in basso e da sinistra a destra. Ogni ideogramma reca accanto la trascrizione fonetica sormontata da un numero che ha un corrispondente posto sulla parola latina. Nel 1673, sull’onda degli studi sinologici di Matteo Ricci, la traduzione in latino operata dal gesuita Prospero Intorcetta, riscosse un enorme successo presso la società letteraria dell’epoca. L’opera venne inserita da Melchisédech Thévenot, responsabile della Biblioteca Reale di Parigi, nel volume La science des Chinois.


Un trattato che raccoglieva le relazioni di viaggio e le notizie relative ai “Mondi Sconosciuti”. Il libro si inseriva in un contesto di fascinazione settecentesca per le chinoiserie. Parigi fu in quegli anni il centro propulsivo di irradiazione delle conoscenze sull’Impero del Drago. Il Re Sole volle a Parigi la Société des missions étrangères, il quartier generale dei gesuiti. Prospero Intorcetta ripartì per la Cina il 15 marzo del 1673. Non fece più ritorno in Occidente. La traversata si rivelò un viaggio orrendo. Una terribile pestilenza scatenatasi a bordo decimò equipaggio e passeggeri. Dei dodici gesuiti imbarcati si salvarono solo in due. Il ritorno di Intorcetta in Cina fu salutato da prestigiosi incarichi che gli vennero tributati. Nel 1676 fu nominato Visitatore delle missioni di Cina e Giappone. Dall 1678 al 1690 fu Vice Provinciale della Cina e quindi superiore della Casa dei Gesuiti di Hang-tcheon, capitale del Tche-kiang. Una nuova ondata di persecuzioni di abbatterà ancora sulle missioni cristiane. La repressione fu operata dal governatore del Tche-kiang che ordinò di bruciare la preziosa biblioteca della Casa dei Gesuiti e trasformò la chiesa in un tempio di idoli pagani. Nel 1692 l’imperatore Kang-Hsi ordinò la fine delle persecuzioni. All’età di 72 anni, Intorcetta rendeva l’anima a Dio nella città di Hang-tchean. Era il 3 ottobre del 1696. Aveva vissuto il suo apostolato cinese per 37 anni con un unico obiettivo: l’interlocuzione tra Europa e Cina affidato alla civiltà della parola, ai segni, alla sapienza divina, alla politica del confronto. Fu sepolto nella città di Hangzhou. Sulla sua tomba, con un vezzo eccentrico, volle si scrivesse: di nazione siciliano, di patria piazzese e la trascrizione fonetica del suo nome cinese Yn to Ce Kio ssè, Intorcetta il piazzese.

Concetto Prestifilippo
(Kalòs, Arte in Sicilia Maggio 2007)